Lea Garofalo

Petilia Policastro, 24 aprile 1974 – Monza, 24 novembre 2009

Lea Garofalo

Petilia Policastro, 24 aprile 1974 – Monza, 24 novembre 2009

Biografia

Fu una testimone di giustizia, che scelse di collaborare con lo Stato per sgominare le attività criminali della sua famiglia. Dopo l’arresto del fratello di Lea, avvenuto nel 1996 durante le indagini contro il clan Comberiati-Garofalo a Milano, Lea fu interrogata e confessò tutto ciò che sapeva circa un sistema criminale, spietato e in cui non si riconosceva arrivando a denunciare il suo stesso compagno e padre della figlia.

Grazie alle sue preziose testimonianze, la Garofalo entrò nel programma di protezione nel 2002. Pochi anni dopo, tuttavia, fu ritenuta “non più attendibile” e le furono tolti le misure di protezione. Fece ricorso fino a che il Consiglio di Stato non le diede ragione.

Decide di rinunciare alla protezione e prima subì un tentativo di rapimento, a scopo omicidio, e poi l’ex compagno con la scusa di parlare della figlia riesce a portarla in un appartamento dove Lea viene uccisa e poi, in altro luogo, bruciata.

Per il suo omicidio verranno condannati all’ergastolo quattro persone tra cui l’ex compagno e il cognato.

Personalità

La criminalità organizzata, qualunque provenienza abbia, va combattuta strenuamente ed estirpata. Ma non è facile. Non lo è per le forze dell’ordine, non lo è per lo stato, figurarsi per una giovane donna cresciuta in un ambiente non solo omertoso ma totalmente colluso con la criminalità. Eppure Lea Garofalo decise di denunciare e di rischiare la vita per la giustizia.

Non una scelta facile la sua. Una scelta combattuta e chissà se si è mai pentita di averlo fatto.

Il suo coraggio e il suo brutale omicidio rimangono come esempio di quello che significa vivere con la schiena dritta.


Medaglia d’oro al merito civile (alla memoria)

«Con ammirevole determinazione, pur consapevole dei rischi cui si esponeva, si ribellava al contesto in cui era cresciuta, pervaso da criminalità e devianze educative e, dopo aver lasciato il compagno, esponente di una cosca calabrese, fuggiva dall’ambiente di origine per dare alla figlia opportunità diverse, decidendo, nel contempo, di collaborare con le Forze di polizia, rivelando notizie su omicidi ed estorsioni. Dopo alcuni anni, veniva rintracciata e rapita dall’ex convivente, con l’aiuto di altri complici, e, dopo uno spietato interrogatorio e terribili torture, veniva barbaramente uccisa, con occultamento del cadavere, mai più ritrovato. Splendido esempio di straordinario coraggio e altissimo senso civico, spinti fino all’estremo sacrificio.»

— Novembre 2009, Milano